Rinnega il tuo nome! Brand naming, è davvero così importante?
Tre case history di brand naming da evitare e 4 regole per avvicinarsi al nome giusto
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Si narra che non sia stato Adamo, prima creatura ad abitare la Terra a dare un nome ad Eva. Se infatti l’avesse fatto, avrebbe segnato la subalternità della donna rispetto all’uomo. Fu Dio infatti a dare un nome alla donna, Eva. Il creatore di tutto ha dato un nome alle cose, agli animali e persino agli uomini.
In fatto di naming andava decisamente forte.
Al di là dell’ironia, dare un nome al brand, al prodotto, all’attività è un atto importante in quanto definisce, in sintesi estrema e forse anche con un po’ di sana semplificazione, ciò che “sta per”, ciò che significa una determinata cosa.
Deve evocare un sistema valoriale, un luogo, una sensazione, una emozione. L’una di queste cose o tutto assieme.
Ma come scegliere in maniera adeguata un brand naming?
Insomma, è davvero così importante?
“In fondo si tratta solo di un nome, un esercizio di fantasia e di sintesi che potrebbe fare chiunque.”
È spesso questo il pensiero che accompagna molti quando si prospetta il problema se affidare ad un professionista il lavoro di naming oppure realizzarlo homemade.
E pensare che non sono pochi i casi in cui copywriter esperti, consulenti della comunicazione e professionisti hanno approvato naming oggetto poi di ironie, discussioni, problematiche che hanno necessitato di una corsa ai ripari, un lavoro di re-naming.
Alcuni esempi?
Tre case history di naming errati
Ormai sono classici nella storia del copywriting. Si tratta di storie di naming errate, casi in cui l’azienda ha dovuto tornare sui suoi passi con una operazione di re-naming.
I tre casi che racconteremo ci pongono dinanzi a tre tipologie di errori. Il primo è quello di dare un nome non idoneo al target cui il prodotto è rivolto. Il secondo e il terzo riguardano mancate analisi di conformità linguistica e/o culturale.
A Natale in tutti i cinema il nuovo film d’animazione: “Moana”
Dicembre 2016, nelle sale cinematografiche italiane sta per uscire l’ultimo film della Pixar. Grandissima attesa per… “Moana”. Inutile dire che lo strafalcione che vorrebbe frotte di bambini digitare su Google il nome di Moana vedendosi apparire una delle porno dive italiane più note doveva necessariamente essere evitato.
È così che si è deciso di procedere con un costosissimo adeguamento per il mercato italiano, una operazione di re-naming che ha portato a “Oceania”.
La calcolatrice giusta per il tuo commercialista: Inkulator
Microsoft nel 2013 presenta la calcolatrice per Windows 8, un concentrato di utilità, praticità (è come fare il calcolo a penna) e capacità di calcolo. Ink, come inchiostro, e Calculator, come calcolatrice. Nasce così “Inkulator”. Poco dopo aver messo sul mercato il software, Microsoft realizza che per l’Italia non è proprio il nome adeguato e lo trasforma in “Kanakku”.
Quando la sfiga viaggia su quattro ruote: Jetta
Un cult della storia del naming. Nel 1979 la Wolkswagen si inventa una berlina veloce ed elegante. Il suo nome? Jetta. Ispirato a “jet”, in Italia ecco subito le prime battute ironiche. Jetta come “jettatura” e come la traduzione dialettale tipica di alcune regioni del centro Italia di “getta!”. Il brand automobilistico tedesco fece una operazione di re-marketing e in Italia divenne “Vento”.
E allora, quanti danni può arrecare il nome sbagliato ad un prodotto? Molti, certamente, ma va da sé che il nome giusto per un prodotto sbagliato non salverà il prodotto mentre il nome sbagliato per un buon prodotto ne potrebbe compromettere il futuro.
Quattro regole base per scegliere un buon naming
Creare un buon naming non è semplice. È una operazione che richiede studio, creatività, gusto estetico e una buona capacità di analisi.
Prima regola: Assicurati del significato, studia le libere associazioni.
Fare un’attenta analisi linguistica ed antropologica contribuisce ad evitare che il naming formulato sia offensivo o volgare in un’altra lingua. Il naming deve evocare e/o descrivere qualcosa, sia essa una caratteristica del prodotto, una sensazione, un luogo. Importante è che non si sviluppino associazioni lesive tra il naming e altre situazioni o prodotti competitor.
Seconda regola: Semplicità please!
Una sigla composta dalle lettere di tutti i soci dell’azienda. Un acronimo composto dalla data di nascita, il numero civico e le iniziali del tuo nome. Per quanto ti possa sembrare significativo e pertinente, una buona regola per la scelta del naming è che sia semplice e facilmente memorizzabile.
Terza regola: Semplice sì ma non banale.
Il nome ti sembra quello giusto. Hai fatto una prova e piace anche a tutti i tuoi “tester”. Eppure da una ricerca su Google ecco apparire tante attività simili alla tua e con naming identici o molto simili.
Cerca di non replicare quanto già esiste. Sviluppare un’identità propria passa anche dall’originalità del naming. È anche il naming, infatti, a differenziare il tuo brand dagli altri.
Quarta regola: www. Il tuo dominio è libero?
Sembra banale ma è di fondamentale importanza. Il tuo brand ora che ha un nome, avrà bisogno anche di un sito. Fondamentale è quindi che il dominio sia libero. Prima di procedere con il progetto grafico assicurati che il tuo www sia free.
La regola delle regole, come sempre, è quella di riflettere davvero sul lavoro da farsi. Raccogli le idee per avere un brief dettagliato e pertinente, prova da solo a studiare il tuo naming ma che si tratti di una consulenza o di affidarne la creazione, è sempre consigliabile rivolgersi ad un esperto per ridurre il più possibile gli errori.
Il brand naming rientra in quei lavori che possono apparire semplici ma che in realtà si rivelano molto complessi. In fondo i percorsi poco segnati, è vero che sono i più liberi, ma è altrettanto vero che sono quelli più pericolosi ed accidentati se non c’è una guida esperta.
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