LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
Tutto quello che non dici in realtà è già detto! Nel momento preciso in cui comincerete a leggere queste parole, molto probabilmente starete già usando il linguaggio non verbale senza accorgervene. Magari siete seduti al PC con le sopracciglia inarcate in senso di approvazione o disapprovazione e la testa un po’ inclinata sullo schermo.
Questa settimana ancora una volta partiamo da qui, dagli esseri umani e dai loro comportamenti, dai silenzi imbarazzanti nelle riunioni di lavoro e dal sistema complesso di segni che abbiamo costruito nel tempo ancor prima di usare la parola, facendo una disamina di quello che il nostro corpo esprime attraverso postura, gesti, espressioni facciali, contatto visivo e linguaggio paraverbale.
Impareremo insieme a decodificare meglio i messaggi e a confrontarci con culture diverse da quella italiana. Iniziamo!
Contenuti:
- Una storia da raccontare ma non a voce
- Un corpo che parla
- Il non verbale della Pandemia
- Comunicazione non verbale: do you speak English?
Una storia da raccontare ma non a voce
Contenuti
C’era una volta l’India. I Veda Indiani sembrano essere stati i primi a elaborare un testo che aveva come scopo quello di identificare gli avvelenatori attraverso gesti ed espressioni facciali, ma per addentrarci nei meandri della comunicazione non verbale, dobbiamo scomodare ancora una volta Darwin (Darwin, 1872 – The Espression of the Emotions in Man and Animals). A lui dobbiamo una delle prime analisi sulle emozioni dell’uomo e degli animali.
Nel corso degli anni poi, molti studiosi si sono occupati del tema, in particolare Jurgen Rusche, psichiatra, e Weldon Kees, poeta americano, coautori del libro “Non-Verbal Communication. Notes on the Visual Perception of Human Relations.”
Vediamo insieme in che cosa consiste questo tipo di comunicazione.
Un corpo che parla
Quando parliamo di linguaggio non verbale ci riferiamo a tutto ciò che va oltre il significato semantico delle parole:
- La postura
- I gesti
- Le espressioni facciali
- Il contatto visivo
- Il linguaggio paraverbale
La postura
Immaginate di essere una mosca in una sala riunioni con i vostri colleghi seduti a semicerchio in una tavola rotonda, ma senza Re Artù.
Cosa accadrebbe se uno di loro nel prendere parola si adagiasse comodamente sullo schienale con le spalle flesse assumendo una posizione di totale rilassamento come se fosse al mare o sul divano di casa? E se invece si ponesse con la schiena eretta sulla sedia? Probabilmente nel primo caso resteremmo increduli e anche infastiditi, mentre nel secondo caso si instillerebbe in noi un senso di fiducia e rispetto.
Una postura ricurva, inoltre, in un contesto lavorativo potrebbe indicare insicurezza, disagio e trascuratezza.
I gesti e la comunicazione non verbale
Le mani a volte sembrano un’unità a sé stante, soprattutto per le popolazioni che le utilizzano per accompagnare i propri discorsi e farsi comprendere dagli interlocutori con cui si interfacciano. Spesso si dice che solo noi italiani utilizziamo le mani per parlare, sicuramente le usiamo tanto, ma non siamo gli unici! Anche le mani degli spagnoli, degli arabi e degli americani parlano.
I gesti accompagnano le parole dell’oratore in qualsiasi contesto pubblico o privato. Se la gestualità vi incute un lieve senso di timore, provate a seguire questi semplici regole:
- All’inizio di un discorso cercate di rilassarvi e lasciate cadere braccia e mani lungo i
- Date alle mani la possibilità di trovare il proprio spazio fisico. Man mano che i concetti prendono vita è probabile che si innalzino sopra il livello del bacino. Lasciatele vivere, vi aiuteranno a comunicare, non c’è niente di male.
- Infine, cercate di tenere i palmi aperti e rivolti verso il pubblico in segno di disponibilità e spontaneità.
Le espressioni facciali
“La verità è scritta nel nostro volto” è una celebre frase tratta dalla serie tv Lie to me. Per capire meglio il peso che hanno le espressioni facciali nelle interazioni che abbiamo con gli altri, consigliamo la visione di questo breve clip, un estratto della serie tv sopracitata.
La nostra faccia trapela emozioni che attraversano corpo e mente di chi ci circonda.
Salvo che non siate sotto interrogatorio (cosa che non auguriamo a nessuno), non c’è motivo di avere timore di questo gesto naturale, rivelarci agli altri attraverso ciò che sentiamo è umano. Con prudenza e scaltrezza, ma senza finire per perdere la nostra genuina espressione facciale, è possibile imparare a controllare il nostro output, facendo per esempio attenzione a particolari inarcamenti di sopracciglia, rughe contratte sulla fronte, aumenti di sudorazione, palpebre sollevate, ecc. Non siamo macchine, e questa ne è la dimostrazione!
Il contatto visivo
Lo sguardo viene definito dalla Treccani come “l’atto di guardare”. Niente di più semplice, niente di più complesso.
Uno sguardo può essere acuto, espressivo, vivo, solare ma anche cupo, spento, smarrito o molto altro. Lo sguardo è uno dei tanti specchi della nostra anima ed è parte del contatto visivo che instauriamo con l’interlocutore che abbiamo di fronte.
Che impressione avreste se un vostro collaboratore guardasse i vostri piedi con occhi inespressivi in uno scambio di conversazione?
Il contatto visivo, a seconda di come è posto, denota preoccupazione, paura, sicurezza, apertura.
Per essere un buon comunicatore è fondamentale creare un contatto visivo sia per aumentare la concentrazione sul discorso, sia per avere controllo sul nostro pubblico cercando di capirne le esigenze. Inoltre, mantenere un buon contatto visivo ci permetterà di alleviare quello stato d’ansia di cui parlavamo prima e che potrebbe arrivare prima di “entrare in scena”.
Il linguaggio paraverbale
Il linguaggio paraverbale fa riferimento al modo in cui qualcosa viene detto: tono di voce, pause, respiro, velocità e volume.
Secondo uno studio condotto dallo psicologo Albert Mehrabian negli anni ‘60, la qualità della comunicazione dipende per il 38% dal linguaggio paraverbale, una percentuale molto alta se pensiamo che il contenuto verbale occupa circa il 7% in una interazione dialogica. Curioso, dunque, che senza quel 7% non ci sarebbe comunicazione.
Il silenzio e le pause sono elementi preziosi in una conversazione e hanno più potere di ciò che si pensa. Un silenzio può indicare confusione emotiva dopo un dibattito acceso o portare a riflessioni profonde dove ci si prende del tempo per elaborare quanto è stato detto. Ma quindi chi tace… acconsente? A volte sì, a volte no, la chiave è decifrare il motivo dei nostri silenzi e di quelli altrui a seconda del contesto nei quali si presentano.
Se siete interessati ad ulteriori approfondimenti, qui trovate un corso completo sul
Il non verbale della Pandemia
Le videochiamate ci hanno sicuramente supportato moltissimo nel facilitare la comunicazione durante la pandemia da COVID-19, riscrivendo anche il nostro modo di parlare con gli altri.
Le abbiamo fatte in cucina, in sala, in camera da letto e forse anche in bagno (speriamo di no, in realtà).
La chiamata su schermo contiene di per sé molti elementi di linguaggio non verbale che possono avere effetti collaterali anche gravi.
L’ambiente circostante fa da padrone e mette a dura prova le nostre case. Immaginate di ritrovarvi digitalmente a casa di un collega e di vedere familiari/amici/parenti che passeggiano dietro lo schermo. A livello pratico questo porta a distrazioni e indesiderati prolungamenti di chiamata. Se decidiamo di utilizzare uno sfondo per aumentare la nostra privacy, cerchiamo di evitare sfondi inappropriati al contesto, oppure di cambiarli spesso. Le piattaforme ne suggeriscono diversi, basterà affidarsi al buon senso e il problema è risolto.
Anche la tentazione di tenere il pigiama durante una giornata casalinga in smart-working può essere prominente ma l’abbigliamento ha il suo peso in un possibile scenario lavorativo come una riunione o un colloquio.
Ricorda di rendere silenzioso il tuo luogo di lavoro e di spegnere il microfono se non sei parte attiva della riunione. Suoni o rumori potrebbero infastidire chi si trova dall’altra parte dello schermo.
Cerca di posizionarti al centro dello schermo e di non occupare più di un terzo di esso, in modo che gli interlocutori abbiano una rappresentazione chiara e nitida della tua persona.
Se possibile, collocati davanti a una fonte di luce, ad esempio una finestra, e non dietro. Così facendo eviterai il gioco di ombre e l’interlocutore riuscirà a vederti in modo adeguato.
Nella modalità “videochiamata” tutto viene amplificato, le espressioni facciali potrebbero essere più visibili. Per una buona riuscita, consigliamo di prepararsi prima così da evitare spiacevoli sorprese.
La comunicazione non verbale: do you speak English?
Grazie ad internet e non solo, ad oggi ci sarà capitato almeno una volta di confrontarci con altre culture, diverse da quella italiana.
Avere una conoscenza più o meno ampia di altre lingue oltre l’italiano è sicuramente fondamentale per abbattere le barriere linguistiche, ma dietro ogni lingua c’è un’intera cultura! Ognuna di esse ha uno spazio prossemico (ossia la distanza fisica che manteniamo nelle interazioni sociali) differente.
Facciamo un esempio: nel caso di una NEGOZIAZIONE AZIENDALE, per far sì che si raggiunga l’obiettivo desiderato, sono necessarie alcune accortezze che analizzeremo in base al modello delineato da Richard Lewis per individuare i diversi stili di comunicazione culturale.
Richard Lewis propone un test per capire verso quale polo collocare la cultura con la quale si andrà ad interagire che per semplicità identificheremo come “cultura di arrivo (CA)”.
I poli individuati sono tre:
- Multi-attivo
- Attivo-lineare
- Reattivo
Elenchiamo qui sotto alcuni consigli per evitare il più possibile situazioni conflittuali.
Valutare se la cultura di arrivo è “di contatto” o “senza contatto” e quali siano le distanze da tenere tra persone in contesti più formali come quelli lavorativi. Gli italiani, ad esempio, sono molto vicini al polo “multi-attivo” avendo atteggiamenti solitamente caldi e impulsivi nella comunicazione non verbale.
Conoscere i modi più comuni di scambiare convenevoli, siano essi abbracci, baci sulla guancia, strette di mano. Gli spagnoli, nonostante facciano parte dello stesso polo multi-attivo degli italiani, si introducono spesso baciando sulla guancia ma vanno da sinistra a destra, proprio al contrario di come siamo abituati a fare in Italia. Sembra irrilevante, ma ritrovarsi in situazioni di imbarazzo superando la zona definita “intima” (0-45 cm), potrebbe essere un’esperienza davvero spiacevole.
Calibrare l’entusiasmo con il quale cominciare o interrompere il flusso della conversazione. Gli italiani utilizzano solitamente quello che in linguistica viene definito “overlapping” (dall’inglese “sovrapporre”) e tendono spesso ad interrompere il flusso. Suggeriamo di provare a modificare questa abitudine, perché interrompere l’interlocutore non fa di noi dei buoni oratori. Saper ascoltare attivamente, è parte integrante della comunicazione non verbale. Alcuni esempi virtuosi sono Vietnam, Cina e Giappone, dove si seguono ritmi di conversazioni meno prominenti che incoraggiano calma e comportamenti accomodanti.
In caso di emergenza, chiamare un interprete
Data la moltitudine di elementi da tenere in considerazione nello spettro culturale della comunicazione verbale e non verbale, è sicuramente considerata buona prassi affidarsi a professionisti che conoscono meglio le dinamiche da valutare in casi di incontro fra culture differenti.
Pronti a decifrare i messaggi in codice?