Chi, come, quando. Come faccio a diventare brand?
Cinque punti di base e tre case history imperdibili: Velasca, Daniel Wellington e Taffo
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Hai fatto tutti gli step come da manuale eppure il tuo brand non sfonda. Cosa significa oggi diventare brand? Cosa occorre davvero?
Il successo di una azienda è misurato da quanto il pubblico percepisce di quel brand. Nel mondo iper “socializzato” di oggi, questo aspetto è sempre più pregnante. Se un tempo bastava marchiare a fuoco una mucca per definirne la proprietà e differenziarla da quella del vicino, oggi dare un’identità di brand al proprio prodotto è decisamente più complesso e certamente di grandissima importanza per non scomparire nel mare magnum della contemporaneità.
Ma come si fa ad entrare davvero nella mente del consumatore? Come essere parte, cioè, di un desiderio condiviso da certo target? Come essere davvero riconoscibili e fare di un marchio un brand e di un brand un vero motore?
I passaggi che vengono solitamente indicati da tutti per la creazione di un brand sono innegabilmente necessari e irrinunciabili. Andiamo con ordine.
DA COSA CERTAMENTE NON PUÒ PRESCINDERE IL TUO BRAND?
Brevemente l’ABC in 5 punti fermi.
- L’identità. Definisci chi sei, i tuoi valori, il tuo pubblico, i tuoi obiettivi.
- Naming e logo. Studia un naming accattivante e pregnante, crea il logo, registralo
- La corporate identity. Sviluppa un’immagine coordinata, riconoscibile e coerente<
- Sito internet. Struttura un sito internet aggiornato e responsive
- Social Network. Promuovi e racconta il tuo brand e la tua attività sui social network.
Questo è quello che ti dicono tutti. Cinque passaggi di innegabile valore e decisamente imprescindibili fatti i quali occorrerebbe pensare ad una campagna marketing di ampio respiro e spesso estremamente costosa.
Eppure c’è chi è riuscito a diventare brand e lo ha fatto, certamente partendo dai 5 step sopra indicati ma percorrendo poi strade alternative, più “contemporanee” e forse più alla portata di un piccolo imprenditore… in fondo non sempre, soprattutto all’inizio, si ha la forza di fare un grosso investimento.
Vediamo tre case history diversissime, tre storie di successo, tre strade sulle quali riflettere e, perché no, dalle quali lasciarsi ispirare.
VELASCA, LA SCARPA ITALIANA DI LUSSO A PREZZI COMPETITIVI, IL PASSO DI UN BRAND
Nel trend dello smart buy, il modello di business del direct consumer
Cosa accade quando vivi e lavori a Singapore e cerchi dei mocassini di qualità senza volerli acquistare nel segmento del lusso? Succede che ti accorgi che c’è un buco da colmare. Enrico Casati e Jacopo Sebastio sono due giovani imprenditori milanesi, rispettivamente classe 1987 e 1982, un tempo impiegati nel settore bancario e oggi owner di Velasca, un brand di scarpe artigianali italiane da uomo (quasi tutti i fornitori sono di Montegranaro) vendute ad un prezzo accessibile. L’obiettivo con cui nasce il brand nel 2013 è quello di proporre prodotti di lusso del made in Italy di alta qualità ad un prezzo sostenibile per il cliente finale. Si inseriscono cioè in un trend di mercato relativamente nuovo, lo smart buy: comprare un prodotto di nicchia e di qualità alta, artigianale, dalla forte identità, “premium” ma alla metà del prezzo del marchio di lusso. Come a dire: non è il brand di lusso a dirmi che appartengo ad una determinata fascia sociale, ma sono io che non ho bisogno di esibire la marca ma solo la qualità.
Per farlo Casati&Sebastio decidono di mettere in campo una strategia di comunicazione innovativa fino a quel momento nel mondo della scarpa. Prima di tutto evitano di sovraccaricare il prodotto rifuggendo tutti i passaggi intermedi dati dalle ricariche sul prezzo del singolo prodotto solitamente operate da showroom, distributori e negozi multimarca. Si rivolgono quindi direttamente al cliente. Come? Attraverso il sito internet, un e-commerce dove poter acquistare direttamente le scarpe, senza intermediazione alcuna.
Aggiungono un po’ di advertising su Facebook prevalentemente focalizzato sulla città di Milano per accrescere la brand awareness. Poi passano al contatto diretto: l’Apecar brandizzata con la quale Velasca si piazzava all’uscita delle grandi società di consulenza nella pausa pranzo per vendere il prodotto direttamente ai dipendenti. Passaggio successivo quello di appoggiarsi a Fiege per la logistica e all’acceleratore per startup Boox Srl. Il 60% del fatturato viene investito in comunicazione, cosa che sfocia nel natale del 2014 nel primo temporary store; un negozio fisico concepito come spazio di incontro per un caffè, un gin tonic, un salotto della città. Le vendite vanno alla grande e si investe quindi in digital marketing: risorse per le campagne e una figura stabile che se ne occupa a tempo pieno.
Da un solo fornitore di Montegranaro si è passati a quattro sempre nella provincia marchigiana. Da cinque dipendenti si è passati a 35, dall’Italia all’Europa (nord Europa in particolare) e ora si guarda al Mondo.
Una notizia fresca fresca è quella dello scorso 24 settembre che recita così: “Velasca, il brand direct-to-consumer di calzature di alta gamma, completa un aumento di capitale da 4,5 milioni: P101 e Milano Investment Partners guidano l’operazione. I fondi verranno impiegati per ampliare l’organico della società, che ad oggi conta 35 persone, al fine di giungere alle 120 risorse entro il 2022. Nei piani della società anche un’ulteriore ottimizzazione di attività, processi e servizi digitali legati all’omnicanalità, che rappresenta l’offerta unica di Velasca in Italia, Europa e Nord America.”
In soldoni, la formula di Velasca: Ottima idea, prodotto di grande qualità, nessuna intermediazione e/o distribuzione, contatto con il consumatore finale, investimento graduale e continuativo in comunicazione.
DANIEL WELLINGTON, L’OROLOGIO CHE LEGGE BENE IL SUO TEMPO
Nell’era dei social, come diventare brand su Instagram senza avere nemmeno un negozio
Magari ce l’hai proprio ora al polso eppure non ti sei chiesto come ci sia arrivato. Non ti sei chiesto cioè perché hai scelto di comprarlo, dove lo hai visto, se prima esistesse. Semplicemente l’hai visto e ha fatto clic.
Clic è forse la parola più giusta perché il Daniel Wellington che hai al polso è nato proprio sul web, su Instagram in particolare.
Poco più di 20 anni, Filip Tysander dalla Svezia prende il suo zaino e parte per l’Australia. È lì che conosce un “gentiluomo britannico” con un bell’orologio al polso con il cinturino in stoffa. Un personaggio magnetico che risponde al nome di Daniel Wellington. In testa gli balena l’idea di progettare, realizzare e vendere degli orologi con il cinturino interscambiabile. Per il naming non ha dubbi: Daniel Wellington. Progetta autonomamente il marchio, firma un contratto con un’azienda cinese per la produzione degli orologi e investe 15mila dollari nel primo store online. È il 2011 e in pochi anni, meno di cinque, arriva a fatturare 170 milioni di dollari.
Ma come ha fatto? Certamente l’idea era buona, gli orologi si presentano bene, eleganti e dalla linea intramontabile. Ma la chiave di tutto sta nella strategia di marketing utilizzata. Filip non prova nemmeno a promuovere il suo prodotto attraverso i canali tradizionali. Lì sarebbe completamente schiacciato dai suoi competitor. Sceglie la strada dei social, in particolare di Instagram dove oggi ha quasi 5milioni di follower. È infatti proprio Instagram, prevalentemente basato sull’immagine, a veicolare al meglio il suo prodotto. Poi studia la sua strategia in quattro mosse.
Prima di tutto propone a centinaia di influencer di tutto il mondo di provaree promuovere il suo brand in cambio di una fornitura dei sui prodotti DW.
Conia l’hashtag #DWpickoftheday per spingere i follower a fotografarsi con gli orologi e segnalarli poi con appositi post sulle pagine ufficiali del brand. Risultato? I suoi orologi diventano virali.
Distingue i suoi hashtag sulla base della geolocalizzazione così da creare community in ogni latitudine e diffondere in maniera più capillare il brand. Da ultimo, lancia dei codici promo per aumentare le vendite.
I risultati sono sorprendenti. Una crescita del 200% in poco più di un anno per numero di follower e in due anni accade la stessa cosa anche ai profitti.
Insegnamento? Hai un bel prodotto e l’idea non è male ma i soldi sono pochi per utilizzare i tradizionali canali di comunicazione? Scegli una strategia di marketing alla tua portata che sia intelligente e misurata al tuo obiettivo. Anche Instagram può diventare la chiave di svolta del tuo brand.
IRRIVERENZA E REAL TIME PER FARE DELLA MORTE UN BRAND
Taffo Funeral Service, un esempio di successo per un prodotto decisamente unfriendly
Vogliamo chiudere con un caso limite, un unicum del web.
Quasi 183mila follower su Facebook, e oltre 32mila su Instagram. Un influencer? No, stiamo parlando di una storica impresa funebre romana fondata negli anni ’40. Parliamo di Taffo, un brand che è diventato tale attraverso il lavoro di comunicazione fatto sui social network.
Come si posiziona questo brand nella mente dei consumatori? Taffo è ironia e irriverenza, uno humor nero di stile anglosassone che si compenetra con il commento spassionato della contemporaneità.
La sua brand awareness è cresciuta esponenzialmente grazie alla linea di comunicazione intrapresa. Dalla collezione autunno-inverno per lanciare la nuova linea di bare, (anche la campagna corporate ha la sua importanza), alla lettura socio-politica della cronaca quotidiana.
È proprio il real time infatti la chiave del suo successo sui social.
La viralità dei suoi contenuti infatti, va al di là del semplice tratto beceramente ironico. Il fatto che commenti la notizia di cronaca, le tendenze del momento, la contemporaneità, infatti, fa sì che il suo contenuto sia stracondiviso, cliccato, “likeato”.
L’azienda con una storia lunghissima non è nuova ad un tipo di comunicazione unconventional. Prima dell’avvento dei social infatti, era la cartellonistica a interpretare questa vena dark di humor. Con i social però si è potuto lavorare e fare brand in un territorio decisamente più ampio, ben oltre quello in cui opera l’azienda.
In sintesi, il tuo prodotto non è bello e vendibile come un orologio o un paio di scarpe? Puoi comunque diventare brand se scegli la giusta dose di intelligenza, ironia e irriverenza, stai sempre sul pezzo cavalcando la notizia del giorno e nel frattempo mostri ai clienti i tuoi prodotti e servizi.
Diventare brand oggi è un lavoro ancora più complesso. Tanta competizione, tante proposte, costi davvero elevatissimi se si pensa di procedere con i mezzi tradizionali. In queste tre storie però abbiamo cercato di offrire un’altra prospettiva. Che tu abbia un prodotto top ma con pochi fondi, che tu sia piccolo seppur con una idea grandiosa, che il tuo prodotto non sia facile da promuovere, esiste comunque una strada per diventare brand e cambiare completamente il flusso delle cose.
L’importante è certamente tenere le antenne drizzate e intercettare i trend di mercato, saper leggere cosa manca e proporsi per colmarlo, pianificare una strategia intelligente e puntuale utilizzando tutti i nuovi strumenti oggi a disposizione, avere la giusta dose di ironia e di intelligenza per raccontare il tuo prodotto all’interno dei circuiti di narrazione più grandi che sono quelli della contemporaneità.
Se noti bene, tutte queste case history hanno in comune almeno tre aspetti: coraggio, corretto investimento in comunicazione e studio degli strumenti che occorrono per leggere, interpretare e sfruttare il mercato di oggi.
E tu? Hai tutto? Hai anche un brand nel cassetto? Continua a seguirci, prossimamente potremmo tirare fuori dal cilindro un corso che fa al caso tuo.