Cervello e lavoro da remoto: gestire la nuova normalità
Jenifer Marshall Lippincott, specialista di neuroscienze applicate alla leadership, ha recentemente pubblicato un articolo dedicato al funzionamento della nostra mente quando lavoriamo da remoto. Che impatto ha lo smart working sulla nostra routine professionale e sulla nostra vita quotidiana?
Vi proponiamo una nostra traduzione dell’articolo originale, pubblicato su Training Industry:
I titoli recitano “Non uscite di casa!”
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Quando ci viene data la scelta di muoverci liberamente nelle nostre vite – che si tratti di lavorare da remoto, andare a trovare degli amici o mangiare al ristorante – le sensazioni di fiducia, coinvolgimento e motivazione si intensificano. Trasformare lo stare a casa in un decreto o in un obbligo, invece, è tutta un’altra storia.
Ora che le autoquarantene si sono trasformate in mandati, il nostro senso di controllo su molti aspetti della vita sembra essere fuori dalla nostra portata. Quello che veniva sentito come routine o che veniva dato per scontato ora è vietato, e fa sì che la nostra immaginazione corra sull’orlo di una miriade di peggiori scenari possibili.
Questa propensione alla negatività ci ha protetti per millenni, soprattutto perché gli umani non sono stati i più forti del regno animale. In compenso abbiamo scoperto come lavorare insieme per sopravvivere, e addirittura prevalere. Ora, questo è esattamente quello che aziende e manager (ma anche tutti noi) devono fare.
Costruire nuove abitudini
Sara, una Millennial, vive da sola e ora è costretta a lavorare da casa. Non può più dipendere dai rituali quotidiani dell’ufficio, molti dei quali comprendevano brevi ma importanti relazioni con gli altri. Queste routine l’hanno inconsciamente calata nelle attività quotidiane e l’hanno mantenuta vigile e impegnata.
Il suo capo Tony, con tre figli, si sforza di trovare quiete e concentrazione tra il caos di adolescenti irrequieti confinati in casa e una partner altrettanto stressata, tutto mentre cerca di prestare attenzione ai propri genitori ad alto rischio.
Nell’immediato futuro, Sara e Tony (e tutti noi che stiamo nel mezzo) potrebbero faticare a creare una nuova normalità e a viverla in modo produttivo. C’è, però, una buona notizia: siamo tutti capaci di sviluppare nuove abitudini, un nuovo percorso neurale alla volta. La saggezza popolare vuole che sviluppare nuove abitudini significhi distruggere o interrompere le vecchie, ma la scienza della neuroplasticità ci insegna qualcosa di diverso. “Il cervello è pensato per rimodellarsi in funzione del proprio uso – la plasticità cerebrale è proprio questo”, afferma Michael Merzenich, meglio conosciuto come il ‘padre della neuroplasticità.
Costruire una nuova abitudine richiede tre cose: attenzione, concentrazione e ripetizione. Presta attenzione a ciò che vuoi fare diversamente, dedicagli consapevolezza (focus) e ripeti l’azione. Una ricerca condotta presso l’Università di Costanza dal Professor Peter Gollwitzer dell’Università di New York ha rilevato che ripetere un’implementazione delle intenzioni (ossia un desiderato obiettivo) due o tre volte alla settimana innescherà un nuovo percorso neurale.
Essere sociali quando si lavora da remoto
Dal momento che non esistono due cervelli uguali, ognuno di noi troverà nuovi modi per reagire al tempo della lontananza. Creeremo nuove abitudini (ovvero nuovi percorsi neurali) che aiuteranno i nostri cervelli a imparare e prosperare durante la quarantena – e la quarantena non deve per forza significare isolamento. Gli umani sono prima di tutto, e soprattutto, animali sociali. Robin Dunbar, antropologo di Oxford, è stato un pioniere del concetto che, a livello evoluzionistico, la dimensione del cervello umano è direttamente correlata alla dimensione del gruppo o della tribù. Gli umani hanno cervelli grandi affinché socializzino: anche lavorando e apprendendo da remoto troveremo il modo di connetterci, lavorare e sopravvivere. L’abbiamo sempre fatto.
Alcune delle nostre nuove abitudini saranno profondamente personali, altre saranno il risultato di strutture lavorative riviste e adattate per sostituire i rituali “da macchinetta del caffè” in ufficio.
Per Sara potrebbe trattarsi di un breve contatto mattutino con amici o colleghi attraverso piattaforme per le riunioni virtuali; o di sentire sua madre al telefono per assicurarsi che stia rispettando le regole di quarantena; o addirittura guardare fuori dalla finestra sognando a occhi aperti la vita dopo la quarantena.
Dopotutto, dal momento che pensare al futuro ci piace, secondo il “guru della felicità” Marty Seligman dell’Università della Pennsylvania lo facciamo tre volte tanto rispetto agli altri tipi di pensiero.
Tony, d’altro canto, potrebbe creare nuove abitudini a partire da un programma condiviso a livello familiare per quanto riguarda i momenti di lavoro e di svago, i progetti legati all’apprendimento da remoto e le uscite obbligatorie (un raid del frigorifero fatto di soppiatto non conta). Per quanto riguarda le squadre che dirige, Tony potrebbe creare nuove abitudini di lavoro condiviso programmando brevi appelli virtuali e frequenti videochiamate individuali per sapere come sta ciascuno dei colleghi. Potrebbe comunicare presto e spesso, monitorando le frustrazioni e chiarendo le nuove aspettative.
Tony dovrebbe assicurarsi che Sara e gli altri del suo team abbiano la libertà di prendere decisioni circa i propri orari lavorativi e persino raccomandare passeggiate di mezzogiorno, o creare un gruppo di yoga online per mitigare il senso di perdita del controllo. David Rock, fondatore e CEO del Neuroleadership Institute, afferma che l’autonomia è uno dei cinque maggiori riduttori dello stress (insieme a status, sicurezza, relazionalità e imparzialità), e scrive che “Finché le persone sentono che possono mettere in atto le proprie decisioni senza troppa supervisione, lo stress rimane sotto controllo”.
Sara e Tony potrebbero anche programmare serate ludiche e cene virtuali con gli amici. Come loro, anche noi creeremo nuove abitudini che, attraverso la ripetizione, diventeranno la nuova normalità per i nostri cervelli da remoto. Se e quando torneremo a focalizzarci sulla vecchia normalità, quei circuiti neurali si risveglieranno, o riaggiorneranno, in base all’attenzione che gli rivolgeremo.
Proprio come Christian Dior si sta riattrezzando per creare igienizzanti per mani, e un’azienda che produce componenti per automobili sta creando mascherine igieniche, tutti noi dobbiamo cambiare direzione, modificare e sviluppare nuovi modi per andare avanti. Prendendo il prestito le parole di un libro di Reid Hoffman, Ben Casnocha e Chris Yeh, “L’Alleanza: gestire il talento nell’era del network”, combattere questo virus ci dà una missione: lo scopo comune di appiattire la curva e prevalere sulla minaccia. Possiamo non essere gli animali più forti del regno, ma siamo tutti sulla stessa barca a livello mondiale. E siamo indomiti.