Creativi che devono vendere: una storia di mercato e ispirazioni
Tra pagamenti in visibilità, tariffari sfuggenti e professioni dai contorni sfumati e indefiniti, la vita di chi ha scelto un lavoro creativo non è mai particolarmente facile. Cosa significa mettere d’accordo ispirazione e mercato? Ragioniamoci insieme.
“Che differenza c’è tra un grafico pubblicitario e un web designer?”
“Perché ‘correttore di bozze’ non è sinonimo di copywriter?”
“A proposito: che significa copywriter?”
“Ma davvero qualcuno paga le bollette facendo disegnini?”
Se ti sei trovato almeno una volta nella condizione di rispondere alla domanda “Che lavoro fai?” con una formula-ombrello come “impiegato” o “lavoratore autonomo”, questo articolo sarà nettare per la tua sete di riconoscimento e un valido palliativo per il tuo ben maturato astio a pressione.
Dedizione alle Muse VS Pagamenti incombenti: una storia antica
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Immagina uno scenario di Tekken Tag Tournament in cui una leggiadra statua dal profilo greco si prende a manate in faccia con un tizio panciuto che assomiglia vagamente ad Al Capone (lo chiameremo Signor Spese).
Bene: se sei un “creativo”, questo è quello che accade nella tua testa ogni volta che devi scegliere tra dipingere un trittico allegorico sul tema dell’esistenza o dare pennellate rabbiose alla scenografia di un villaggio vacanze.
O quando devi scegliere se scrivere un racconto breve sulla bellissima donna misteriosa che hai incontrato il treno o andare a caccia di refusi sul testo ermetico e fumoso che un cliente vorrebbe stampare sulla sua brochure. Ma, ovviamente, anche quando sei un grafico e ti dicono che sì, il logo è bello, ma ci starebbero bene degli elementi in più e magari il nome un po’ più grande, in Comic Sans.
Insomma, in assenza di mecenati ti tocca rimboccarti le maniche e dare la priorità a quei piccoli e grandi compiti che ti fanno portare a casa la pagnotta. Anche perché, ammettiamolo, non sono sempre così tremendi – è solo che li dipingiamo così.
Ma poi, siamo proprio sicuri che nell’epoca dei grandi protettori illuminati i “creativi” campassero meglio?
Le nostre certezze potrebbero vacillare se pensiamo, per esempio, che diversi quadri di Caravaggio furono rifiutati dalla committenza perché osceni o, addirittura, perché il cliente (oops: il committente…) era convinto che la tela andasse interamente riempita di soggetti, senza spazi “vuoti” – poco conta che lo spazio vuoto sia magari un mirabile panneggio scarlatto.
Restando in tema di pittura, sappiamo che il povero Vincent Van Gogh non riuscì mai a fare un soldo bucato con la sua arte, e sappiamo anche che se non fosse stato per la determinazione della cognata probabilmente gran parte delle sue opere sarebbe finita in un camino a scaldare una fredda serata invernale.
Adesso magari non fissiamoci sul fatto di essere tutti geniali artisti incompresi: limitiamoci a prendere atto del fatto che creatività spontanea e apprezzamento della committenza non vanno sempre e per forza a braccetto.
Per quanto riguarda il dilemma del “vendere o non vendere”, quasi shakespeariano, non possiamo non menzionare i timori che accompagnano da sempre l’idea di cedere ad altri il frutto del proprio mondo interiore come se si trattasse di un pacchetto di gomme da masticare.
Già a cavallo di ‘800 e ‘900 gli intellettuali della penna sprovvisti di fortune di famiglia si chiedevano cosa fossa più onorevole fare: vivere di stenti e sperare di fare successo, un giorno, con la propria poesia o narrativa, oppure scegliere un mestiere vero, come quello dell’insegnante di lettere, del correttore di bozze o del giornalista?
All’epoca, persino quest’ultima attività sembrava, al cospetto della letteratura, quasi indegna: chi vi si abbandonava rischiava di essere considerato un venduto (ahi, come ricorre ancora questo termine…), se non addirittura uno scrittore fallito.
Eppure, nella nostra storia nazionale non mancano figure che hanno saputo costruire un rapporto positivo (o almeno di reciproca tolleranza) tra la propria Musa e il nostro Signor Spese – “creativi”, quindi, che hanno accettato e fatto proprio il fatto che la temperie in cui viviamo richiede che il talento impari a dialogare con il mercato.
E se allora la cosa essenziale è il dialogo tra queste due differenti (e non per forza opposte) tendenze, possiamo tranquillamente affermare che l’atto principale che certifica il battesimo di un creativo contemporaneo è la sua capacità di plasmare la propria sensibilità in direzione di ciò che gli viene richiesto, senza per forza snaturare il proprio genio o rinnegare il suo stile individuale.
Creare per vendere
Al creativo che vuole vendere, di conseguenza, vengono chieste più abilità di quelle che deve possedere chi crea “l’art pour l’art”, ovvero di chi si esprime a 360 gradi con nessuna progettualità al di fuori di quella meramente artistica.
Il creativo che vuole vendere deve possedere un numero considerevole di competenze accessorie, che spesso ricadono in quelle soft skills o competenze sociali sempre più richieste in ogni ambito del fare.
Volendo effettuare una sintesi estrema, il “nuovo creativo” deve:
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Comprendere le richieste della committenza
Non si tratta di capire quello che il cliente dice ma di cogliere quello che il cliente desidera.
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Saper giungere a compromessi
Volutamente, è stato espulso il verbo “scendere” – perché il compromesso non è sempre una sconfitta, ma può rivelarsi un’opportunità interessante di crescita, o una sfida.
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Saper distinguere l’appunto dalla critica
La quantità di energie personali infuse nel lavoro creativo fanno sì che gli appunti al lavoro consegnato possano essere percepiti come veri e propri attacchi personali. Non è così.
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Accettare che l’obiettivo detti la scelta
È probabile che a volte l’opzione scelta dal cliente o il risultato di mille modifiche sia qualcosa di cui non andiamo propriamente orgogliosi. Fai ricorso al tuo Zen e vai avanti.
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Sondare i limiti
Questa abilità si sviluppa in due direzioni: da un lato ci aiuta a diventare più elastici, dall’altro ci fa capire quali sono i confini che non siamo disposti a varcare.
Secondo Wired i lavori creativi attualmente più ricercati sono: designer di accessori, designer di gioielli, videomaker, graphic designer, illustratore, copywriter, art director, content strategist, set designer e user experience/interface designer – un curioso “fritto misto” in cui anche i più poliedrici del settore potrebbero sentire la testa leggera e un vago senso di confusione mista a smarrimento.
Tu dove ti collochi?
Volete un riassunto supersintetico?
Eccolo: se siete creativi e volete vendere il prodotto del vostro talento, non abbiate mai paura di misurarvi con il mercato. Lui può dettare i tempi, ma non può costringervi a fare nulla.
La Musa è al sicuro e non si offenderà a patto che, ogni tanto, troviate tempo anche per coccolarla fuori dall’orario di lavoro.