Apologia dell’influencer marketing, cinque ragioni per spiegare perchè funziona
È come me, ha storie fantastiche, mi posso fidare, parla proprio con me, quando c’è il brand è più figo
Ha sfilato sul red carpet alla 76^ Mostra del Cinema di Venezia per presentare il docu-film che racconta della sua vita e che proprio in questi giorni è stato proiettato nelle sale cinematografiche. Lei è Chiara Ferragni, ha oltre 17 milioni di follower su Instagram, è una imprenditrice, fashion blogger e fa l’influencer.
Ma chi è un influencer e in cosa consiste l’influencer marketing?
Oggi se ne sente parlare sempre più e la sua importanza sta proprio nella viralità dei contenuti che veicolano queste “comuni” star del web, nella potenza della conversione che esercitano e nella forza del loro storytelling che è in grado di accorciare le distanze.
Perché l’influencer marketing funziona proprio così. Un soggetto utilizza il web per raccontare la sua vita, aneddoti, curiosità, abitudini. Il suo agire è capace di influenzare le dinamiche di scelta ed acquisto di altro utenti del web. Forse un tempo si sarebbero chiamati testimonial, oggi invece sono utenti come gli altri che però raggiungono una grande notorietà sul web e sui social e che sono in grado di spostare l’attenzione mediatica su un prodotto o un brand influenzandone le dinamiche di acquisto.
Quanti livelli di Social Influence esistono?
Contenuti
Esistono 3 diverse categorie di influencer che sono nati e cresciuti in diversi ambiti:
- social broadcaster sono tutti quei personaggi diventati famosi lavorando nel mondo reale, star dello spettacolo, dello sport ecc … Hanno il potere di garantire una visibilità di larga propagazione.
- mass influencer comprende tutti quei personaggi che sono nati cresciuti ed affermati nei social. Godono di un’ottima reputazione ed autorevolezza nel settore in cui si sono affermati.
- potential influencer / micro influencer sono nati nei social, hanno una piccola community molto attiva e sviluppano la loro attività tramite la produzione di contenuti.
Quanto può guadagnare un influencer?
Un Influencer su Instagram può guadagnare fino a 18 mila dollari a post come Huda Kattan con 25 milioni e mezzo di follower, ma anche le italiane, oltre alla famosissima Chiara Ferragni, c’è anche Chiara Biasi con 10.000 Euro a post.
Non c’è solo Instagram come piattaforma di guadagno per gli influencer, anche su Youtube ci sono influencer con il proprio parco fan che gli permettono di guadagnare cifre importanti. Tra tutti spicca PewDiePie , alias Felix Arvid Ulf Kjellberg che con i suoi 7 milioni di dollari all’anno e 37 milioni di iscritti per lo più ragazzini che seguono le sue sessioni di gaming.
Ma gli influencer non si occupano solo di fashion, gaming, food ecc …
Esistono anche i booktuber, gli influencer dei libri che con le loro recensioni su Instagram e Youtube riescono a collezionare milioni di follower, come l’italianissima Ilenia Zodiaco, 26 anni, ha più di 48.000 iscritti al suo canale YouTube che non ha guadagni milionari ma è riuscita a costruire il proprio personal brand nel genere letterario.
Ma perché interessarsi di Influencer Marketing?
Una sola risposta, perché funziona.
Alcuni sostengono sia una moda del momento, altri che oggi una azienda che non riservi ad un influencer una parte del suo investimento in marketing sia folle. La verità è che è certamente un tema caldissimo.
Proviamo a vedere cinque ragioni sul perché gli influencer funzionano.
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SONO COME ME E NON SI SENTONO MEGLIO… (FORSE). L’IDENTIFICAZIONE.
No, non sono come gli arrampicatori sociali di “Quelli che ben pensano” di Frankie Hi-nrg. Loro ogni giorno sui social ci raccontano la loro vita, provano nuovi prodotti, visitano luoghi, elargiscono consigli. Non sono altro da noi, sono esattamente come noi. A renderli noti al pubblico, a trasformarli in “influencer” è proprio il popolo del web, il bagno di folla dei follower. Ma si tratta di utenti che prima di spiccare il volo erano persone comuni, come noi.
La vicinanza con l’utente, l’identificazione, il fatto che a quel successo potenzialmente potrebbe arrivarci qualsiasi persona, rende l’influencer vicino, arrivabile, “toccabile” e quindi più facilmente ascoltabile.
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LA LORO STORIA È LA MIA STORIA, MA LA RACCONTANO MEGLIO DI ME. LO STORYTELLING.
Quello che raccontano quotidianamente interessa la loro community che ogni giorno cresce e si fidelizza proprio per quest’appuntamento fisso con la narrazione, emozionale, coinvolgente. Una finestra aperta, attraverso i social, su un mondo distante ma non troppo e interessante proprio perché vicino al sentire più intimo dei follower. La potenza della narrazione non va sottovalutata. È tutta sua la capacità intrinseca di ispirare, ammaliare, di legare, di creare connessione e, di conseguenza conversione.
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NON PUBBLICIZZANO, LORO MI DANNO DEI CONSIGLI. LA REPUTATION.
Quella del titolo è evidentemente una affermazione falsa. Ma quello che conta è il rapporto di fiducia tra influencer e community.
L’influencer nel raccontare la propria storia, suggerisce, consiglia, “influenza” le tendenze d’acquisto ma, nel momento in cui esplicitamente pubblicizza un prodotto, per non perdere la propria reputation deve obbedire ad un’etica sancita anche dalla Federal Trade Commission che fa sì che il post venga accompagnato da hashtag quali #ad o #paid a chiarimento degli intenti commerciali.
La sua condotta trasparente rafforza la fiducia della sua community. Se un influencer perde la reputation, smette di essere un influencer.
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PARLANO PROPRIO A ME. QUESTIONE DI USER EXPERIENCE
Quanto un’azienda inserisce nella propria strategia di marketing un influencer ha già fatto un passo. Il suo marketing specialist ha cioè studiato il suo target, anzi, meglio, lo ha letto più a 360 gradi, ha uno screening più preciso delle personas interessate al suo prodotto. Una volta capito meglio a chi parlare, allora è anche molto più semplice capire come farlo, o meglio, chi deve farlo. La nostra User Experience fatta di clic, di mi piace, di preferenze, definisce cosa ci interessa e perché. L’influencer scelto dall’azienda, sarà dunque quello che avrà più presa sulle personas definite. A lui spetterà quindi il compito di far crescere la community e fidelizzarla.
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IL BRAND È PIÙ COOL SE CI SONO LORO. IDENTITÀ E BRAND VALUE
Se ben impiegato, il giusto influencer accresce il valore del brand. Per un verso il brand value cresce perché si lega ad un influencer, per un altro, se il lavoro è fatto alla perfezione, si accresce svincolandosi dall’influencer stesso. Infatti ad incrementare il valore del brand è proprio lo stato di benessere e di longevità della sua community che si alimenta al di là della figura dell’influencer.
Una community è fatta di personas consapevoli, con un grande senso di appartenenza, che manifestano la volontà di non “tradire” quello che, nel tempo, è stato capace di configurarsi come il brand meglio rispondente alle necessità di ognuno dei suoi membri.
In sintesi: è come me, la racconta che è una favola, mi posso fidare, parla proprio con me, quando c’è lui il brand è più figo. Ecco perché funziona.
Consumatore/utente, influencer, brand sono quindi tre ingranaggi interdipendenti. L’influencer contribuisce alla crescita del brand. Il brand rafforza la visibilità dell’influencer. L’utente/consumatore premia il brand se l’influencer scelto è quello giusto per la community cui sente di appartenere, quello cioè che crea identificazione, che sa raccontare bene, che sa darmi il giusto consiglio senza “sporcarsi” con la pubblicità più becera. Se tutto funziona bene, il brand value cresce e, di conseguenza, cresce anche la conversione all’acquisto.
Ok, forse arrivato sin qui ti sei convinto/a che serva, che avere un influencer al proprio fianco è un buon asso nella manica da giocarsi. Ma come inserire l’influencer marketing all’interno delle strategie aziendali? Quale tipo di influencer scegliere e come negoziare la sua posizione? E poi, come misurare i risultati?
Tutto questo e molto altro sarà argomento del seminario del 25 ottobre “Influencer Marketing” con la social media strategist Sara Banella. Scopri di più sul nostro corso!