ASCOLTARE MUSICA AL LAVORO, aiuta o no?
«…the sound you made is muzak to my ears…» ascoltare musica al lavoro
Il primo a parlare di musique d’ameublement fu l’irriverente e geniale pianista Erik Satie (da cui prese il nome anche una sua composizione del 1920). Sebbene l’interesse per questo tipo di musica si sia manifestato soltanto nell’ultima parte della sua produzione artistica, non si può certo negare che una costante nella produzione del compositore francese fu l’assenza di punti di riferimento, di zone di luce che rendeva le sue composizioni vaghe, per certi versi impalpabili. Note che servivano da arredo, che puntellavano gli spazi vuoti e al tempo stesso mai invasive e sempre, rigorosamente strumentali.
Una musica che non aveva bisogno di essere ascoltata.
«Sai, bisognerebbe creare della musica d’arredamento, cioè una musica che facesse parte dei rumori dell’ambiente in cui viene diffusa, che ne tenesse conto.
Dovrebbe essere melodiosa, in modo da coprire il suono metallico dei coltelli e delle forchette senza però cancellarlo completamente, senza imporsi troppo. Riempirebbe i silenzi, a volte imbarazzanti, dei commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Inoltre, neutralizzerebbe i rumori della strada che penetrano indiscretamente dall’esterno.»
Ciò che aveva immaginato Satie venne messo in pratica qualche tempo dopo da George Owen Squier, un maggiore dell’esercito americano ricordato principalmente per le sue invenzioni. A lui si deve infatti il multiplexing, tecnologia che si rivelerà fondamentale per la diffusione e per lo sviluppo della telefonia e delle trasmissioni radiofoniche.
Nel 1934 registra il marchio Muzak (crasi delle parole music e Kodak), che definisce e produce musica di sottofondo, comunemente usata negli spazi pubblici come ad esempio centri commerciali, aeroporti o più semplicemente ascensori.
Muzak si impone fin da subito come punto di riferimento nel suo ambito, coadiuvato dal miglioramento della qualità della diffusione radio e dalla sempre più crescente richiesta di “musica da ambiente” da parte delle aziende. Soltanto due anni dopo, nel 1936, la Muzak Holding Corporation forniva servizi di “musica d’ascensore” per più di mille aziende e vantava nel suo libro paga più di venti compositori.
Un concetto musicale destinato quindi ad un ascolto involontario e passivo, caratterizzato da melodie semplici e riproducibili in modo continuo, con sonorità ridotte al minimo per non risultare opprimenti alle orecchie dei ascoltatori. Proprio come l’aveva immaginata Satie.
Per oltre quarant’anni, la muzak music è stata una fedele compagna di viaggio per tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono imbattuti in un ascensore pubblico, in un centro commerciale, nella sala d’aspetto del dentista di fiducia o nella fila per il check-in in un qualsiasi aeroporto.
La sua storia però stava per avere un importante cambio di rotta: se da un lato la musica d’ambiente risultava vincente per “allietare”, se così vogliamo dire, i momenti di attesa quotidiani, dall’altro veniva denigrata e criticata da molti.
Verso la fine degli anni Settanta divenne necessario rimodulare il prodotto per renderlo ancora più efficace a livello di marketing; è stato proprio in quel momento che fece la sua comparsa il Quantum Modulation: un sistema di 45 coefficienti musicali che, sapientemente miscelati, erano in grado di riprodurre la migliore musica di sottofondo per qualsiasi ambiente commerciale, dallo store di Gucci al negozio di articoli per la casa.
ASCOLTARE MUSICA AL LAVORO PER VENDERE MEGLIO
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L’obbiettivo finale era quello di rendere la permanenza in un locale commerciale il più piacevole possibile, in modo da trattenere il cliente e, di conseguenza, indurlo all’acquisto.
Da un’analisi effettuata in un supermercato americano nel 1982, spalmata su un periodo di 9 settimane durante le quali vennero riprodotte a giorni alterni musica lenta e musica veloce, risultò che nei giorni di musica lenta le vendite aumentarono del 35%, rispetto ai giorni in cui veniva trasmessa musica veloce.
Un ulteriore studio, risalente agli stessi anni, dimostrò come la Quantum Modulation influenzasse la percezione di un determinato prodotto: nello specifico bottiglie di vino francesi o tedesche. Indipendentemente dal posizionamento sui scaffali, nei giorni in cui veniva diffusa musica francese il vino tedesco non veniva praticamente acquistato da nessuno e, viceversa, nei giorni di diffusione di musica teutonica, erano i vini tedeschi ad essere i più venduti.
Sebbene la stragrande maggioranza delle attività commerciali usino la Quantum Modulation da tempo, non vi è ancora una prova scientifica della sua reale efficacia.
Esistono due grandi scuole di pensiero sull’influenza della musica sulle persone. Il primo approccio pone l’accento sull’effetto fisico: uno studio del 1985, per esempio, rivelò che i clienti di un ristorante masticavano più velocemente se accompagnati da una musica più ritmata. Il secondo approccio si concentra invece sulle reazioni psicologiche suscitate dalla musica: uno studio del 1998, mise in risalto che i clienti di una caffetteria erano disposti a spendere più soldi se come sottofondo vi era musica classica; la spiegazione fu che i clienti associavano quella determinata colonna sonora a una maggiore qualità.
Ascoltare musica a lavoro: stimolo o semplice disturbo?
Siamo dinanzi al dilemma dei dilemmi: lavorare mentre si ascolta della musica, che sia di sottofondo o a tutto volume nelle cuffiette, rende il lavoratore più produttivo o semplicemente lo distrae?
Secondo un’indagine condotta dal duo Linkedin-Spotify, l’Italia è il primo paese in Europa per l’ascolto di musica a lavoro e il secondo a livello globale dopo gli Stati Uniti. Sembrerebbe che più dei tre quarti dei professionisti tricolore pensi che la musica li renda più produttivi, mentre più della metà dei lavoratori (56%) che ascoltano musica in ufficio sostengono che aumenti la loro motivazione o creatività (52%) e altri che trasmetta loro una sensazione di calma (39%).
Il 17% dei lavoratori ammette di ascoltare musica per coprire il rumore prodotto dai colleghi, soprattutto nei cosiddetti open space. Tra gli artisti giudicati “più appropriati” mentre si lavora ci sono i Coldplay (44%), la canzone che aiuta di più a prepararsi a una giornata lavorativa è ‘Viva la Vida’ (35%). Il pop (61%) è il genere preferito dai professionisti, insieme alla musica classica (30%) e al rock (30%).
A mio avviso mancherebbero alcuni elementi su cui ragionare. Sarebbe stato interessante sapere chi sono questi lavoratori e, soprattutto, quale mansione svolgono. Si tratta di artigiani/operai o di impiegati all’ufficio statistica? Sono dirigenti aziendali Fiat o semplici tirocinanti? Dubito fortemente che un carpentiere ascolti Chris Martin & Co. per migliorare la sua produttività in cantiere, ma forse è così.
Quello che è certo è che, in determinati contesti, l’ascolto di musica durante le ore lavorative può rivelarsi piuttosto stimolante.
Un altro studio condotto da Cambridge Analytics, rivela che il 48% delle persone che lavorano in uffici si lamenti che il maggior fattore di disturbo e di distrazione sono proprio le chiacchiere dei colleghi. Inc.com ha stilato una sorta di classifica dei generi che meglio si accompagnano con determinate aree lavorative: la musica classica, ad esempio, è ideale per chi fa lavori creativi; l’elettronica è perfetta per chi svolge mansioni che hanno a che fare con i numeri mentre il jazz pare sia un toccasana per i programmatori informatici.
Allora, quale è la risposta? Ascoltare Musica al lavoro sì, o no?
Ci sentiamo di dire che… dipende.
Dipende dal contesto, dalla tipologia di rapporto che si ha con i colleghi, dalle direttive aziendali che possono avallare o meno questa scelta ma, soprattutto, (anche se sembra banale sottolinearlo) dipende dal tipo di lavoro che facciamo.
Lavorando in un ufficio, un luogo che per antonomasia è abitato soltanto dal vociare indistinto e dai ticchettii da tastiera, si può credere che la musica renda sicuramente più piacevole l’ambiente e che, ovviamente, in base al genere e alla canzone, possa rivelarsi non soltanto una “fonte di disturbo o distrazione” ma, al contrario, un vero e proprio “sollievo” per chi (molti di noi) è “costretto” a trascorrere diverse ore in ufficio.
L’effetto Muzak, al netto delle vessazioni subite nel corso del tempo, ha senza dubbio cambiato la percezione dell’ascolto musicale, portandola ad essere un’esperienza collettiva e meno autoreferenziale, facendola uscire dalle mura domestiche fino ad arrivare ai nostri uffici… passando, ovviamente, dall’ascensore.
Quale musica è più adatta alla tua azienda? vedi questo articolo del nostro blog.
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