Il dialogo intergenerazionale come risorsa
Vecchie glorie e giovani promesse: ecco come lo scambio intergenerazionale favorisce la trasmissione della conoscenza e stimola il progresso.
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“I giovani d’oggi non ascoltano” e “I vecchi sono convinti di sapere sempre tutto”: tu da che parte stai?
L’incapacità di costruire e mantenere un solido e proficuo rapporto di comunicazione intergenerazionale fa sì che un’ostinata rivalità prenda il posto di quella che potrebbe essere una relazione vantaggiosa per entrambe le “fazioni” coinvolte.
Dialogo intergenerazionale: perché è utile a tutti
Per comprendere la validità della comunicazione intergenerazionale basta indagare le dinamiche interne alla maggior parte delle famiglie.
Se quasi invariabilmente lo studente fuorisede chiederà una mano ai genitori per valutare un contratto di affitto e telefonerà alla nonna per avere la ricetta del piatto preferito, è altrettanto scontato che le generazioni più mature ricambieranno l’onore rivolgendosi al più giovane per venire a capo di dilemmi più o meno tecnologici.
Un riassunto più che efficace di questa ruota del mutuo (e spesso snervato) soccorso è mirabilmente tracciato dal fumettista Zerocalcare a questo link.
Le semplici esperienze della vita di tutti i giorni sono già sufficienti a spiegare i vantaggi della reciproca disponibilità al dialogo presentata da due o più generazioni differenti, ma a livello teorico basta pensare alle macroscopiche differenze a livello storico, culturale e ideologico che hanno caratterizzato i diversi contesti in cui le generazioni prese di volta in volta in esame si sono formate e sviluppate.
In questo momento storico, la stessa famiglia può contenere membri che hanno vissuto (direttamente o indirettamente) il secondo conflitto mondiale e persone nate nel terzo millennio.
Professionisti che sono entrati nel mondo del lavoro in pieno boom economico e lavoratori che sono stati sputati dalla scuola pubblica direttamente in un baratro caratterizzato da disoccupazione e instabilità contrattuale.
Le donne della stessa famiglia possono aver subito la pratica del “matrimonio riparatore” o possono aver trascorso mesi o anni all’estero in totale autonomia.
I membri stessi esistono in relazione agli altri secondo collegamenti che fino a qualche decennio fa erano impensabili, perché la fluidità della famiglia contemporanea convive con la struttura immutabile dei ceppi tradizionali.
E se interrogare il nonno sulla sua infanzia per un tema casalingo è senz’altro una buona idea (tanto quanto chiedere al nipote di cambiare gestore telefonico), instaurare e mantenere rapporti di dialogo che vadano oltre l’utilità momentanea potrebbe rivelare grandi opportunità.
Dialogo intergenerazionale e business
A livello di business, il confronto costruttivo tra generazioni diverse può rappresentare uno strumento non trascurabile per contrastare la crisi.
Per introdurre i vantaggi dell’operazione partiamo dal contesto: attualmente, in Italia si assiste a una notevole disparità intergenerazionale a livello occupazionale e contrattuale.
Tirando le somme di una situazione nota ai più possiamo affermare che, anche al netto degli esclusi (per esempio dei lavoratori troppo giovani per andare in pensione ma “troppo vecchi” per essere riassorbiti, o dei ragazzi scartati perché “senza esperienza” in un mercato che non è disposto ad offrirne), il bacino degli occupati vede tendenzialmente nuove e vecchie generazioni in una prospettiva di scontro: i “vecchi” hanno raggiunto posizioni che non vogliono (e in alcuni casi non possono) cedere, ma al contempo soffrono la pressione di dinamiche di mercato che richiedono un aggiornamento continuo e una straordinaria flessibilità; mentre i giovani sono dotati di strumenti fondamentali per il benessere dell’economia pur mancando delle competenze che possono essere sviluppate soltanto con la pratica, ovvero con una gavetta che può essere davvero formativa solo con il contributo di esperti disponibili a trasmettere le proprie conoscenze.
Ancora una volta, la professionalità è questione di know how: i giovani sono mediamente più istruiti e dotati di una cultura globale più sfaccettata (basti pensare alle competenze in ambito digitale), mentre le vecchie generazioni possono vantare esperienze fuori dal comune maturate in contesti diversissimi da quello attuale ma ancora molto utili per comprendere le dinamiche del mercato e del lavoro.
In ogni caso, se non si accetta di condividere ciò che si sa con chi è più diverso e distante, il divario intergenerazionale è destinato a rappresentare un cratere pronto a inghiottire esperienze preziose e intuizioni brillanti.
Il ciclo di vita di Erikson
A metà del secolo scorso, lo psicologo e psicanalista E. H. Erikson teorizzava un modello del ciclo di vita che vede gli esseri umani passare attraverso otto stadi che conducono dalla primissima infanzia alla vecchiaia inoltrata.
Per praticità, in questa sede prenderemo in esame due segmenti: quello della prima età adulta (20-40 anni) e quello della seconda (40-65).
Secondo Erikson, ogni fase comprende da una crisi, ovvero una tensione tra una forza evolutiva e una regressiva. Ogni crisi ha in sé il potenziale per un’evoluzione, ma la crescita può avvenire positivamente soltanto se il conflitto viene risolto favorevolmente.
Nel caso della prima giovinezza, le due forze in gioco sono intimità e isolamento: la prima spinge l’individuo a cercare una propria realizzazione in relazione ai cari d’elezione (es. amici e partner), la seconda invita a restare concentrati sull’“Io” attorno al quale ruota la fase antecedente, quella dell’adolescenza.
Attualmente, la risoluzione di questo conflitto è complicata dalle richieste che il giovane adulto riceve dall’esterno, un mondo che gli chiede di accettare una situazione instabile di “precariato garantito” (Carla Xodo).
Le attività della formazione continua, come l’alternanza scuola-lavoro o le esperienze di stage, fanno sì che la frattura tra il periodo degli studi e l’ingresso nel mondo del lavoro sia sempre più sfumata, e quindi percepita come sempre meno incisiva.
L’adolescenza, la prima e la seconda età adulta hanno confini nebulosi e caratterizzati da una fortissima permeabilità. Questo stato indefinito può generare una mancanza di progettualità che potrà essere facilmente scambiata dagli appartenenti alle generazioni precedenti per una colpevole dispersione di energie, o per una dimostrazione di generica svogliatezza.
Intanto, chi si trova attualmente nello stadio successivo (seconda età adulta) può trovarsi al centro di un conflitto tra un positivo senso di generosità e il rischio della stagnazione: chi è soddisfatto del proprio lavoro potrebbe essere tentato di investire in questo campo più energie di quanto sarebbe raccomandabile per il bene degli altri aspetti della vita personale, mentre chi non è felice della propria posizione potrebbe lasciarsi andare alla rimuginazione di rimorsi e/o rimpianti.
In entrambi i casi, il mancato superamento di questo conflitto non permetterà all’individuo di proporsi ai più giovani in modo costruttivo: chi è totalmente assorbito dalla propria carriera ne sarà troppo esaltato per preoccuparsi di trasmettere contenuti di valore e troppo egocentrico per accettare la possibilità di imparare qualcosa da qualcuno di più giovane, mentre chi rimpiange una decisione potrebbe cedere al nichilismo ben prima di attivarsi affinché la propria esperienza possa aiutare qualcun altro o con lo scopo di espandere i propri orizzonti.
Da questa riflessione emerge che gli attori ideali per uno scambio intergenerazionale costruttivo sono adulti che vivono positivamente la crisi tipica della propria fase di vita, ovvero persone mature disposte a imparare quanto a insegnare e individui più giovani provvisti della volontà necessaria a trasmettere le proprie competenze e assorbirne di nuove.
Il punto di vista
In conclusione, è lecito pensare che il dialogo intergenerazionale presenti un ampio spettro di potenzialità, le quali non ruotano esclusivamente intorno alla trasmissione di competenze.
Uno dei vantaggi principali del confronto con generazioni diverse dalla propria, infatti, è quello che troviamo più generalmente nelle transazioni comunicative che mettono in gioco persone con esperienze e background culturali differenti: la possibilità di considerare un punto di vista diverso dal nostro.
E anche se l’esperienza di guardare il mondo da una nuova prospettiva non rientra a pieno titolo nel generale sviluppo delle competenze, siamo sicuri che rappresenti una via d’accesso privilegiata allo sviluppo personale.